Yves Lebreton
Rassegna stampa

"S.O.S."

FIRENZE. LA CITTA'. Francesco Tei. 11.04.1988.
“E dopo la bomba restarono solo una bombola e un clown…
Una creatura lirica, che si muove però, sul filo di una poesia mai troppo delicata e 'aggraziata', che rifiuta ogni svenevolezza e compiacimento anche nei momenti più intensi; in omaggio alle abitudini e agli intendimenti di Lebreton, che punta sempre a un'espressione concreta e corposa, rinunciando alle seduzioni di una mimica estetizzante.
E' un modo di esprimersi coraggioso, interiore, il suo, dominato da una tensione profonda: è un agire e un 'recitare' con tutto il corpo. Un linguaggio sempre sorvegliato anche negli intenerimenti e nei risvolti struggenti.
Un messaggio chiaro, coraggioso, questo di 'S.O.S.', che crea una tensione ed un incanto lirico che Lebreton sta attento a non rompere nemmeno quando viene a ringraziare alla ribalta. Allora si inchina smarrito e sconcertato, spaurito, agli spettatori, venendo incontro ai loro applausi senza abbandonare il suo personaggio”.

MILANO. IL GIORNALE. Mgda Poli. 08.10.1987.
“Il tenero omino, protagonista di 'S.O.S' ha dalla sua un'infinita creatività e un meraviglioso gusto dell'assurdo, lieve e beffardo il giullare filosofo entra così nei suoi sogni e si perde…Una favola che assomiglia sempre più alla nostra realtà, raccontata con molta bravura e ironia da un artista che s'esprime con grande bravura, creatore di un linguaggio espressivo del tutto suo, padrone assoluto del gesto e della voce, un po' clown, un po' mimo, un po' acrobata, un po' giullare, ma sostanzialmente un poeta”.

MILANO. L'UNITA'. Maria Paola Cavallazzi. 08.10.1987.
“Lebreton interpreta una favola straziante e per niente fantastica con la sua tecnica mimica che nasce dal profondo del sentimento: lo spettacolo è efficace in ogni gesto, e poetico. C'è un equilibrio perfetto tra la denuncia di un mondo violentemente incosciente e il sogno di un futuro ancora possibile…Lo spettacolo ha avuto molto successo, che meritava: traboccante di immagini, si avvale anche dell'uso 'corporeo' che Lebreton fa della voce, traendone suoni di intensa espressività”.

MILANO. LA NOTTE. 08.10.1987.
“Sulla base di una innovatoria concezione del mimo, ha ora costruito questo 'S.O.S.'.Lebreton approfondisce e affina la tecnica del 'mimo corporeo', con un particolare linguaggio artistico…Lebreton riesce a trasmettere malessere, angoscia, disperazione, con una fisicità senza parole, inchiodando lo spettatore a riflettere su tanti perché”.

MILANO. SIPARIO. Giulia Gargia. giugno 1991
“Scritto per esteso S.O.S. vuol dire 'save our souls' (salvate le nostre anime). E lo spettacolo di Yves Lebreton intitolato, appunto S.O.S. di anime ne salva parecchie, se intendiamo la metafora salvifica come la capacità di arrivare a comunicare con l'interiorità di uno spettatore sedutosi sulla poltrona pronto a una rilassante risata scacciapensieri, presentato al Teatro Bellini di Napoli. E invece Lebreton lascia i suoi spettatori divertiti, ma sconvolti; immersi nello sgomento al contatto di un 'cosmicomico' che getta davanti a loro il mistero, buffo e drammatico a un tempo, dell'esistenza, e che si serve dell'emozione del ridere per portare nelle profondità dell'anima l'emozione della vita nella sua interezza.
La sedimentazione di esperienze diverse ha consentito a Lebreton di sviluppare una propria arte del movimento che, per tecnica e per poetica, si situa certamente oltre i codici classici del lavoro sul mimo, categoria nella quale egli non si riconosce artisticamente: anche se viene spesso, per comodità o pigrizia, presentato come tale.
Dovendoli definire, i personaggi di Lebreton somiglia magari, invece, a clown-beckettiani, che trasformano alchemicamente in una densa e completa filosofia comunicativa la tradizionale vena comica tristezza e di malinconica allegria insita nella classica figura clownesca. Per tradurre in parole il senso del lavoro di Lebreton è necessario servisi di ossimori, di espressioni quali 'comica tristezza' o 'melanconica allegria'. La loro contraddittorietà semantica conduce in un territorio concettuale fondamentale per l'interpretazione e la compressione della direzione di ricerca in cui si muove Lebreton: quello dell'ambiguità.
Ricerca che si concreta nella compresenza, nei suoi lavori, di entrambe le maschere-simbolo del teatro, quella della tragedia e quella della commedia. Lebreton le evoca entrambe per alimentare un'arte comunicativa che usa la risata, il divertimento come leva per entrare in contatto con le coscienze e lasciarvi un segno”.

NAPOLI. IL MATTINO. Roberta Albano. 23.05.1991.

“Uno straordinario Yves Lebreton di scena al “Bellini” in 'S.O.S.'
Le ipotesi sul 'Day after' sono state oggetto di varie e multiformi interpretazioni ma poche eguagliano finora in poesia e drammacità quella proposta in 'S.O.S.'.
Il magnifico, unico interprete dello spettacolo è Yves Lebreton…una mimica chiara ed efficace, una minuziosa gestualità fatta di tremiti e impulsi, una vocalità essenzialmente espressiva…L'atmosfera magica realizzata dall'immediatezza simbolica dello spettacolo non si spezza neppure quando Lebreton riceve i calorosi applausi del pubblico”.

NAPOLI. IL GIORNALE DI NAPOLI. Antonio Tedesco. 22.05.1991.
“'S.O.S.' è un grido di disperazione sulla frantumazione non solo fisica e materiale, ma anche e soprattutto spirituale, cui la follia nucleare può condurre…Lebreton è un artista sensibile, dotato di rara comunicativa. Una gestualità elegante e grottesca produce una gamma vastissima di emozioni, senza mai perdere la cifra distintiva, che è quella di una tragica ironia”.

NAPOLI. ROMA. Delia Morea. 19.05.1991.
“ Perfetto alchimista nel riunire in un corpo emozioni, risate, Yves Lebreton fa del suo Teatro un incredibile veicolo poetico di comunicazione… Quando sfodera la sua poesia mimica, l'avvincente bravura del mimo - attore salta agli occhi. Gli spettacoli di Lebreton sono veramente un gioiello visivo”.

BOLZANO. ALTO ADIGE. Marina Manganaro. 20.02.1988.
“Lo smarrimento e la solitudine dell'uomo di fronte allo scempio delle sue stesse mostruosità, inducono alla tenerezza, e a una dolente ma benevola partecipazione. Il macabro dell'evento lascia il posto al lirismo struggente della sua rappresentazione”.

CATANIA. CORRIERE DI SICILIA. G.C. 29.12.1988.
“Riuscendo a mettere un pizzico di ironia e di surrealismo nelle sue 'performance' che pure sono una trascrizione della realtà crudele che ci circonda, Lebreton riesca a incatenare l'attenzione del pubblico ponendosi come strambo protagonista di una riflessione molto seria e tragica. Con il suo linguaggio inconfondibile, Lebreton ci pone davanti un destino collettivo…Nel suo estremo messaggio questo spettacolo, lancia a suo modo un avvertimento positivo, come se questa serie di immagini strazianti mirassero a distogliere l'uomo dalla sua folle corsa verso l'autodistruzione”.

CATANIA. LA SICILIA. Gaetano Caponetto. 30.12.1988.
“Alternando una serie di movimenti realistici e mimetici del quotidiano con le allusioni simboliche, l'astrazione figurativa con la candida stramberia di Jacques Tati, la malinconia clownewsca di Charlot , la fissità mortuaria e allarmante di Buster Keaton (ma sono tutte 'citazioni' reinventate in modo originale ), Lebreton ci dona un saggio di bravura. Ma l'atmosfera complessiva è quella di beckettiani 'Atti senza parole. Gags comiche fanno arrivare più angosciante il messaggio agli spettatori proprio per la loro sinistra carica, per magia teatrale messaggio di speranza: che l'Umanità prenda coscienza ed eviti di precipitare intera nel baratro”.

CAGLIARI. L'UNIONE SARDA. Vittorino Fiori. 08.11.1987.
“Il day-after di un clown poetico. Si ride, dunque. Questa è una tragedia, ma se l'interpreta un clown non può essere una cosa implacabilmente seria. Non è una fiaba, questa che Lebreton va mimando con così irresistibile grazia.
Lo splendido finale dell'apologo è un messaggio da consegnare agli uomini di buona volontà”.

CAGLIARI. LA NUOVA. Angelo Porru. 08.11.1987.
“Lebreton, seppure infagottato e irriconoscibile mostra subito la sua patente di mimo…La solitudine è probabilmente una condanna più dura dell'ondata radioattiva…Lebreton trasforma in gags questa disperazione di sopravissuto…Nulla da eccepire sull'abilità mimica, su una voce duttile ai registri in questa 'commedia apocalittica' sotto il segno dell'assurdo”.

COLONIA. KOLNER STADT ANZEIGER. Marinane Kolarik. 06.10.1986.
“La maniera con la quale il famoso attore francese sviluppa il tema dell'impossibile sopravvivenza dopo lo sterminio totale è, senza alcun dubbio, il punto culminante del Festival di quest' anno…Nessun compiacimento, ma il tentativo impressionante di mettere in evidenza unicamente attraverso il corpo, una visione di un futuro non molto distante dalla nostra realtà”.

COLONIA. THEATER-RUNDSCHAU. Christoph Zimmermann. Novembre 1986.
“Lo spettacolo del francese Yves Lebreton è stato la rappresentazione più bella e più emozionante del Gaukler Festival.
Dopo una catastrofe nucleare, Lebreton trascrive in modo chaplinesco, gli sforzi intrapresi dall'unico sopravvissuto per la riconquista del mondo. Questa opera è sconvolgente e impressionante. Solo attraverso la forza delle immagini, Lebreton raggiunge un'espressione perfetta”.

COLONIA. KOLNISCHE RUNDSCHAU. Von Birgit Eckes. 27.11.1987.

“In una brillante regia, il fascino intenso delle immagini che animano l'ultimo solo di Lebreton conferisce a questa tragedia clownesca una grande forza suggestiva”.

MULHEIM AN DER RHUR. N.R.Z. Ulla Saal. 07.02.1987.
“Artisti di ogni genere hanno sempre tentato di dare un volto all'orrore post-atomico. E' raro che tali tentativi riescano in modo così efficace e impressionante, come abbiamo potuto vedere con l'attore francese Yves Lebreton…Lebreton non ha nemmeno bisogno di sangue per stigmatizzare la follia distruttiva dell'uomo. Quando compone, con membra sparse, bambole deformate facenti così allusione alle anomalie provocate dalla contaminazione nucleare, dei brividi salgono lungo la schiena. Quando, disperato e abbandonato, cerca, come un bambino, di strappare un segno di vita da una bambola inanimata- tutto fa male. E quando bruscamente la bambola si disgrega tra le sue mani e anticipa così il proprio destino, un grido di dolore si torce nella gola dello spettatore. Pertanto, Lebreton provoca simultaneamente il riso. Senza questa valvola di sicurezza, l'oppressione dell'incubo sarebbe insopportabile. Nessuno, tra quelli che conoscono l'attore francese, se lo aspettava: i sopravvissuti invidieranno i morti'. Yves Lebreton ne ha rivelato tutto il significato”.

MULHEIM AN DER RHUR. W.A.Z. 07.02.1987.
“Anche se l'unico superstite della catastrofe è lui, Lebreton, è vivo nella propria solitudine e allarma chi sopravvive…La realtà si chiama caos, oscurità, vuoto…La nostra vita: solitudine. La felicità: illusione fugace. La nostra esistenza: distruzione…Sara così? E' inevitabile? Gli spettatori del Teatro Comunale restavano inchiodati ai loro posti, come paralizzati. Hanno applaudito Lebreton per le immagini emozionanti che il linguaggio del suo corpo ha saputo plasmare, per la poesia commovente del suo humour, ma in fondo avrebbero preferito essere soli e pensare”.

HEIDELBERG. RHEIN-NECKAR-ZEITUNG. 05.02.1987.

“Esplosioni di bombe, tuoni di cannoni, nuvole di fumo, morti: guerra. Poco a poco la vita ricomincia. Una silhouette indefinibile senza viso né memoria: Yves Lebreton - 'S.O.S.' - una commedia apocalittica. Anche a partire da un tale soggetto, l'attore francese arriva a creare delle situazioni assolutamente burlesche vicine ai gesti e alle debolezze umane, eppure senza cadere nella buffonata o nel divertimento facile. E' tutt' al più tragi-comico. 'S.O.S.': un linguaggio mimico al servizio di una messa in guardia contro l'autodistruzione di una umanità incorreggibile. Il pubblico di Heidelberg ha accolto questo spettacolo con applausi entusiasti”.

KASSEL. H.N.A. Christian Hein. 03.02.1987.
“Al di là della tecnica gestuale e della qualità coreografica dei movimenti, il pubblico è stato impressionato dalle commoventi immagini liriche che Lebreton ha creato come per incanto”.

MARBURG. OBERHESSISCHE PRESSE. Manfred Hitzeroth. 02.07.1987.

“'S.O.S.' di Yves Lebreton è un segnale d'allarme lanciato dalla fantasia creativa contro la follia atomica. La distruzione diviene un soggetto capace di suscitare per Lebreton delle invenzioni surreali, di provocare il riso e l'incanto al contempo, di liberare l'anima del clown. Lebreton si rivela essere un attore magistrale e il suo spettacolo è realizzato in modo impressionante, opponendo il sogno alla distruzione: il coraggio di vivere neutralizza sempre la disperazione”.

LEVERKUSEN. RHEINISCHE-POST. Hans Günter Borowski. 02.03.1998.

“La forza suggestiva delle immagini e dei gesti con i quali Yves Lebreton esprime paradossalmente altrettanto bene la distruzione e la speranza, trova il suo apogeo in un lungo applauso finale”.

SCHWEINFURT. SCHWEINFURTER VOLKSZEITUNG. Ulrich Herzog. 14.03.1986.
“Per quanto paradossale possa sembrare per un mimo, il linguaggio diviene per Lebreton un importante mezzo d'espressione E' una lingua senza parole fatta di sonorità elaborate molto finemente e di cui ci sorprendiamo con piacere comprenderne il significato. Questo personaggio dalle grandi scarpe bianche fa ridere tanto benché il tema dello spettacolo sia tragico. Il pubblico ha seguito affascinato le azioni e le sofferenze di questo solitario uomo”.

SCHWEINFURT. SCHWEINFURTER TAGBLATT. Claus P. Gras. 18.03.1986.
Lebreton è riuscito ad affascinare il suo pubblico e a creare dei momenti di comunione molto intensi confermati da un lungo applauso finale”.

BREGENZ. VORARLBERGER NACHRICHTEN. Corista Dietrich. 25.02.1998.

“Cosa c'è dopo la distruzione?Yves Lebreton da' la sua risposta creando immagini commoventi e di una profonda poesia. Ciò che rende questa evocazione particolarmente dolorosa, è la coscienza del fatto che anche gli artisti tra i più impegnati su questo pianeta non potranno impedire 'la follia' …Il pubblico può applaudire questo artista meraviglioso. Era solo una commedia. Ma non dimentichiamo che può diventare realtà”.

GRAZ. KLEINE ZEITUNG. Gisela Bartens. 13.09.1988.
“Solo un grande artista può portare il tema della fine dell' umanità sul terreno scivoloso della scena. Yves Lebreton è uno di quelli. Un universo teatrale in un piccolo uomo. Lebreton è senza alcun dubbio tra i grandi di quest'arte…Come sospeso, ciascuno dei suoi movimenti, provoca dolore là dove abbiamo il cuore…scatena il riso, leggerezza, sorriso, la dove forse è ancora vivo il bambino che ci abita…Mostra tutte le sfacettature corporee e mentali dell'interpretazione. Vi lascia attaccati al lungo filo del suo enorme pallone di poesia, per finalmente posarvi con un tocco di brutalità sul suolo della realtà ”.

INNSBRUCK. TROLER TAGESZEITUNG. 20.03.1986.
“Durante tutto lo spettacolo, il pubblico è stato affascinato dalla tragi-commedia grottesca di Yves Lebreton la cui virtuosità gestuale restava sempre discreta e al servizio del tema…I suoni inarticolati del suo respiro si trasformavano progressivamente per divenire l'espressione stessa dei suoi sentimenti…Malgrado l'apparente ironia dei gesti e sonorità di Lebreton, la tensione era tale che nessuna risata è potuta scaturire dal pubblico. L'impotenza, l'assurdità, dei suoi atti e la minaccia che permeava l'aria, non permetteva nessuna rilassatezza. L'interpretazione che Lebreton ha dato di questa favola opprimente sulla solitudine, sull'impossibilità di comunicare, sull'orrore della sopravvivenza allo choc nucleare, era così intensa che diventava impossibile liberarsene”.

REYKJAVIK. BLADET. Sverrier Holmarsson. 16.06.1988.
“Lo spettacolo è architettato con rigore. Il tema in sé è alquanto opprimente e sarebbe certamente insopportabile, se non fosse sostenuto dal talento di Lebreton che arriva a risvegliare in ogni spettatore, un sorriso incontrollabile che potrebbe pure prolungarsi sino a una franca e liberatoria risata… Lebreton è uno dei più grandi maestri di teatro. E' capace di fondere con successo l'arte della pantomima a quella del clown, l'arte del movimento all'espressione vocale creando, a partire da straordinarie sonorità inarticolate, un linguaggio immaginario e perfettamente comprensibile da tutti. Lebreton è già stato nostro ospite al Festival des Arts del 1976. Mi ricordo con grande gioia del suo spettacolo splendido, indescrivibile, che provocava la turbolenza e l'ilarità del pubblico. Benché l'orientamento artistico di Lebreton sia oggi un poco differente, il suo talento resta sempre eccezionale”.

REYKJAVIK. D.V. Anour Eydal. 15.06.1988.
“Yves Lebreton affronta il tema orrendo di 'S.O.S', con ironia e sarcasmo. La sua parodia non è mai facile né grossolana. Al contrario, si sviluppa con arte e secondo un humour di qualità. Con sicurezza, arriva a captare di continuo l'attenzione del pubblico. Sostenuto da una tecnica precisa e animato da una grande forza suggestiva, il suo spettacolo è impressionante”.

REYKJAVIK. MORGUNBLADID. Havar Singurjonsson. 16.06.1988.

“Uno spettacolo intenso, sostenuto dalla padronanza e sicurezza del linguaggio corporeo di Yves Lebreton…Malgrado l'orrore e la tragedia del tema che espone, l'interpretazione di Lebreton è così ironica, da provocare l'ilarità del pubblico quasi senza interruzione.
Ilarità che conduce tuttavia lo spettatore a interrogarsi sul significato di questa crudeltà. Il genio di Lebreton risiede nella sua capacità di fondere con ambiguità il tragico al comico. La qualità del suo humour interviene senza snaturare il tema che affronta, è un'autentica lezione di teatro”.