PARIGI.
EMPREINTES. Daniel Dobbels. Février 1979.
Molto presto, la gabbia appare come un luogo di luce alla
quale i nostri occhi dovranno poco a poco riabituarsi - pungente
come un primo lucore dopo un tempo di cecità profonda,
o come la sensazione dell'aria fresca dopo una reclusione soffocante,
là dove la vita sopravviveva a se stessa, nascosta dai
gas del passato.
Sopra la gabbia è sospeso un orologio, simile a quelli
che un tempo si vedevano nelle stazioni:
ciò che
segna con esattezza, non è la fine. La gabbia, primo paradosso,
è altresì il luogo delle partenze: le tre figure
- apparizioni che si riveleranno essere dei corpi e dei visi -
si libereranno, con infinite delicatezze e sorprendenti audacie
dalle loro maschere, dai loro abiti, dei loro involucri o da un
saccheggio passato, non dimentichi certamente, di come li avevano
ridotti, confinati - come delle mummie senza viso nascoste in
fondo a un baule. La gabbia, è l'aria di libertà.
Ecco qui: bisogna riapprendere tutto, e, sebbene esitante questo
'movimento', è incredibilmente libero alla nascita, tanto
è vicino alla trovata e alla scoperta. Appare così
com'è: come una forza sottomessa e incontrollabile, che
inventerà i suoi giochi esistenziali, i suoi modi d'essere
che non sono, tentando di condurli il più lontano possibile,
al seguito e all'inseguimento di sogni che non si possono cancellare.
In questo spazio - che non è ancora la gabbia ultima -
il potere dei gesti più piccoli e sottili è immenso:
fughe personali e anodine, giochi di mani, giochi cattivi, giochi
affettuosi, grazie quotidiane: le percepiamo, quei gesti non hanno
prezzo, miracoli lievi, che riappaiono senza posa; passano e si
rivelano 'a bacchetta' o sotto l'orrore del potere inaudito e
di già tremante della loro improvvisa sovranità
C'è una fine
? Certamente
ma non è né
l'orologio che la indicherà né la gabbia che lo
deciderà. Diciamo che è rispuntata, meno certa di
quanto appare
rispuntata per un tempo che non è forse
ancora il nostro, ma che fu, il tempo meravigliosamente esatto
dei redivivi dalla gabbia
.
GRAZ. KLEINE ZEITUNG. Ingeborg Elis.
23.10.1979.
Festival Steirischer Herbst.
Sogni blu scuri. Il fiore blu del romanticismo, il blu scuro dei
surrealisti, i sogni d'infanzia e i robots, il messaggio del Teatro
dell'Albero era chiaro: dare il potere all'immaginazione.
Questo spettacolo, quasi non-verbale, interpretato da tre eccellenti
attori è una favola, una parabola, una critica e una speranza
al contempo di una rara intensità poetica. Il pubblico
ha apprezzato questo spettacolo straordinario con entusiasti applausi.
GRAZ. NEUE ZEIT Eva Schaffer. 23.10.1979.
Festival Stirischer Herbst.
Guardare gli attori recitare in uno stile di movimento così
perfetto era un puro piacere: maestri del teatro non-verbale.
COLONIA. KOLNISCHE RUNDSCHAU. Barbo Schuchardt. 09.03.1979.
Si tratta della lotta condotta dall'individuo per salvaguardare
la propria spontaneità creativa all'interno di un mondo
pericolosamente tecnologico. La contestazione di questa tecnologia
sembra essere il tema primario per la giovane generazione. Finchè
è presentata in maniera così poetica e umoristica,
con tanto d' invenzione artistica e una buona proporzione di simbologia
teatrale, può essere certa della sua efficacia.
COLONIA. WESTDEUTSCHE ALLGEMEINE ZEITUNG. Hans Jansen. 10.03.1979.
Sulle vestigia dell'arlecchinata e il slapstick del burlesque,
il trio di attori ammirevolmente agili nei loro gesti e nelle
espressioni vocali, malinconici o allegri al contempo, rende trasparente
questo piccola, questa grande fiaba con mezzi semplici per un
breve e bel sogno di teatro.
COLONIA. KOLNER STADT-ANZEIGER. Hemult Scheier.09.10.1979.
Festival Internazionale Gaukler.
Gli ultimi giorni del Festival Internazionale Gauker ci riservano
dei momenti forti: Il Teatro dell'Albero
uno spettacolo
di movimento affascinante che fa pensare all'intensità
espressiva di certe tele del pittore belga René Magritte.
Il comico e il tragico si mescolano. Si tratta più di una
riflessione, di un'atmosfera che di una storia. L'immaginazione
degli imprigionati è vicina ad una stilizzazione metaforica
situata sotto il sigillo del grottesco e del sogno. La pièce
è già stata presentata a Colonia. Il fatto che per
la seconda volta ci impressioni ancora più intensamente
prova la sua qualità artistica e la sua potenza espressiva.
Un capolavoro per il quale gli attori sono gli interpreti ideali.
COLONIA. KOLNISCHE RUNDSCHAU. Renate
Müller. 07.03.1979.
Fa un teatro che non esiste Yves Lebreton, o, perlomeno,
per cui è difficile trovare una definizione breve e concisa.
Ospite allo Schauspielhaus col suo Théâtre de l'arbre
in La Cage (La gabbia), egli ci tiene a non essere inserito nella
categoria classica della pantomima.
Il trentatreenne allievo della scuola di Etienne Décroux
a Parigi, che ha formato le stelle del firmamento della pantomima
come Marcel Marceau e Jean Louis Barrault, dichiara di aver sviluppato
una forma di teatro assolutamente nuova.
Benché per Lebreton rimane importante il linguaggio del
corpo come elemento centrale nei suoi spettacoli, egli tuttavia
non si ritiene un illusionista nel senso classico della pantomima.
Gli spettacoli del gruppo costituito di cinque persone sono arricchiti
con costumi originali, rumori e urla. In una parola: sono più
concreti.
Lebreton, che ha studiato musica, arte e pantomima ed è
parimenti affascinato sia dal teatro assurdo di Beckett sia da
quello tragicomico di Buster Keaton, ha iniziato a mostrare sin
dai primi spettacoli alcuni concetti astratti, come nel caso dell'ostinazione
in Obstination.
Ne era seguita un'evoluzione verso un teatro senza parole, surreale
e burlesque. La Cage è il frutto di mesi passati a improvvisare
in piena libertà su un tema, sul confronto tra due forze
opposte. Si vuole esplicitare la lotta dell'individuo creativo
contro un ambiente circostante troppo tecnologico e troppo organizzato,
in cui l'essere umano è sempre più schiacciato,
sempre più ridotto a una macchina. Lebreton, infatti, definisce
questa sua pièce un sos urlato.
Secondo lui è importante trovare forme alternative a quelle
tradizionali del teatro di parola. La sua idea più recente,
creare un Centro artistico in Francia in cui musicisti, artisti
e gente di teatro possano dialogare nelle più diverse forme
di espressione artistica confrontandosi e sperimentando insieme,
sembra già aver preso forma.
STUTTGART. STUTTGARTER NACHRICHTEN. Gisela
Ullrich. 24.12.1979.
Senza parole, ma pieno di fantasia
Impressioni forti ha lasciato il gruppo parigino Théâtre
de l'arbre fondato da Yves Lebreton, che si è fatto un
nome girando per l'Europa, gli Usa, l'America Latina e numerosi
festival. Lo spettacolo surreale La Cage, che si snoda tra sogno
e realtà, commedia e tragedia, è nato dalle improvvisazioni
di tre attori (Teresa Borromeo, Steen Haakon Hansen e Michael
Zugowski). Inizia con segnali acustici di un treno in arrivo in
una stazione. Con movimenti al ralenti appaiono tre silhouette
umane immerse in una nuvola di fumo, esse escono da un baule comparso
dal nulla, sono dotate di maschere anti-gas e portano una valigia
in mano: sembrano manichini e si muovono meccanicamente a ritmo
di metronomo. Mentre uno di loro tre, fumando e telefonando, impartisce
ordini assumendo il ruolo del capo che comanda e impartisce le
regole agli altri due, questi cercano di usufruire il tempo libero
a favore di comportamenti gioiosi e piacevoli tra di loro. Ogni
volta, però, una qualsiasi azione iniziata che va in questa
direzione viene immediatamente frenata da un fischio o uno sparo,
dal suono di una sirena o di una sveglia, oppure viene interrotta
da qualche brusco comando. Nelle scene successive i tre protagonisti
si trasformano in bambini che giocano, in animali di una fattoria
e alla fine in tre uccelli fantasiosi per liberarsi in modo creativo
e sognante dalla gabbia creata da una disciplina sempre al limite
dell'interdizione. Lo spettacolo, il cui linguaggio è unicamente
quello espresso dal corpo, è stato un evento straordinario
soprattutto se considerato nel suo insieme con la musica e i rumori
emessi dagli altoparlanti, con le luci, i costumi e la meravigliosa
scenografia (in particolare la costruzione fatta di tante lampadine
che disegnava i contorni di una gabbia di uccelli).
DUSSELDORF. RHEINISCHE POST Annette V.
Wangenheim. 02.02.1980.
Il Teatro dell'Albero allo Schauspilehaus: un affascinante
piacere per gli occhi.
Le compagnie teatrali straniere si esibiscono di rado allo Schauspielhaus
di Dusseldorf.
In particolare quelle che sono in grado d rimettere in questione
il teatro letterario tradizionale sviluppando un nuovo linguaggio
scenico.
Dopo il mimo polacco Tomaszewski, questa ouverture meritoria da
parte della Shauspielhaus trova il suo apogeo nello spettacolo
'La Gabbia' del Teatro dell'Albero di Parigi. La pièce
della giovane compagnia sotto la direzione di Yves Lebreton non
offre unicamente un piacere per gli occhi agli appassionati del
surrealismo ma seduce ugualmente per la regia minuziosa e per
la bravura dei suoi attori.
Momenti ludici alternano slapstick ed episodi malinconici.
L'impressione estetica di tutte queste sequenze in qualche sorta
cinematografiche è grandiosa.
Dopo questa straordinaria rappresentazione non si sa chi congratulare
in primo luogo, il regista Yves Lebreton per la sua eccellente
troupe, gli attori o gli organizzatori che hanno scelto una delle
troupe tra le più ispirate e le più promettenti
della nuova generazione del teatro gestuale.
DUSSELDORF. NRZ. Birgit Kölgen.
02.02.1980.
In sala risuonano i rumori tipici dei treni in movimento.
Da una cassa esce del fumo, quindi escono tre viaggiatori. Portano
con sé le loro valige e maschere anti-gas, poi si aiutano
tra di loro per togliersi maschere e cappotti. Ha avuto inizio
il gioco di una trasformazione - quasi - muta: La cage del Théâtre
de l'arbre. Comprendere la storia a livello intellettuale,
si dice nel programma, non sarebbe tanto importante. Per contro
si tratta di comprendere a livello sensitivo ciò
che si vede.
E il pubblico l'ha ben compreso avendo festeggiato con scroscianti
applausi gli ospiti giunti da Parigi a fine spettacolo. I tre
attori avevano fatto innalzare in volo tre colombe bianche della
pace per farle girare liberamente nella sala gremita. L'avanguardia
ha aperto il suo cuore e, infatti, questo spettacolo, a dire il
vero un po' strano, contiene più di una scena romantica
che tanto ci emoziona.
Sul palco lo spazio scenografico è stato segnato da una
costruzione luminosa che assomiglia a una gabbia per uccelli e
che a dire del programma si fa simbolo della società in
cui viviamo e che ci rende un po' tutti prigionieri. In alto,
al di sopra di tutto, galleggia un enorme cappello, forse in segno
di giustizia e correttezza?
I tre indefinibili personaggi (Teresa Borromeo, Steen Haakon Hansen
e Michael Zugowski) vengono continuamente disturbati nel loro
essere gioiosi e sognanti. (
) Quant'è orribile il
mondo!
I tre giovani attori si muovono con grazia e disciplina, cambiando
continuamente ruoli, mimica e costumi, come se tutto accadesse
in un sogno. Accanto alle tecniche di danza e pantomima, essi
usano le loro stesse voci per creare rumori che simulano diversi
macchinari. Le parole qui non hanno nessuna importanza e tanto
meno il loro significato. Un esperimento interessante.
DUSSELDORF. WZ. Helga Meister. 02.02.1980.
Il tuffo nella poesia
E' stato il surrealismo di Magritte a far da padrino per La Cage,
ossia la gabbia, la più recente produzione
del teatro parigino Théâtre de l'arbre, ospite in
questi giorni allo Schauspielhaus. Sul palcoscenico c'è
una costruzione fatta di lampadine rassomigliante alla struttura
di una gabbia che definisce lo spazio d'azione del terzetto in
scena. Una gabbia vera e propria è appesa, invece, sopra
le loro teste, in alto, da dove alla fine prendono il volo tre
colombe bianche, vive. La tensione tra l'essere rinchiusi e l'essere
liberi, quella tra le ristrettezze della vita reale e il libero
volo della fantasia, sono questi i nodi tematici attorno a cui
ruota l'intero spettacolo.
Il teatro fatto da questo gruppo vive di simboli delle arti visive
e delle arti teatrali. Un orologio sorveglia il tutto, come un
controllore dall'alto, il treno scorre sui binari passando come
una quinta acustica: il tempo si fa udibile e visibile. Gli effetti
teatrali sono le meraviglie accessibili della tecnica, il fumo
denso esce da una valigia e poco dopo, dal cielo sopra il palcoscenico,
scende una pioggia di penne bianche.
Dentro questa atmosfera artistico-artificiale si mettono in azione
tre persone, esse scherzano con le loro valigie, suonano e ballano,
giocano con una mela - Eva la vuole mangiare, i due uomini se
la buttano l'uno all'altro. Parlano mimando nella loro lingua,
con vocaboli inventati, suonano la fisarmonica e sparano qualche
pistolettata per dimostrare quanta poca vita ci vuole in realtà
sul palco affinché si realizzi un tuffo nella poesia. Alla
fine portano grandi ali pennute sulle loro schiene, descrivono
alcune situazioni con gesti clowneschi e testimoniano quanto fosse
impossibile raggiungere la libertà sulla terra, quella
vera. Ed ecco le tre colombine che si innalzano nel volo, nella
piena speranza di chi fantastica e di chi nella fantasia ci vive:
sono volate fino alle prime file in sala.
SAARBRUCKEN. SAARBRUCKEN ZEITUNG. C.A.
09.06.1980.
Nostalgici rumori di treni, fischi, e l'assordante rimbombo
di una locomotiva a vapore segnano l'inizio. Il palco in penombra
si riempie di fumo a partire dallo sfondo e nasconde piano piano
il gigantesco cappello che galleggia nell'aria come il simbolo
del padronato intero e di tutta l'oppressione. Subito sotto si
vede un piccolo orologio pendente che mostra l'ora reale - e ciò
fa sussultare lo spettatore che è lì proprio per
dimenticare quel tempo normale grazie al tempo teatrale.
Nonostante questo sfondo sonoro un po' imponente, la prima scena
si svolge nel silenzio totale ed è sicuramente anche la
più forte e incisiva di questo spettacolo senza parole,
La Cage, che Yves Lebreton ha elaborato assieme ai suoi tre attori
Teresa Borromeo, Steen Haakon e Michael Zugowski. Grazie a una
sola immagine vediamo subito ciò che è descritto
nel programma. (
)
Sono diverse tappe dell'evoluzione del sé grazie a un ritrovarsi,
un liberarsi e all'eventuale fallimento, qui rappresentate con
i mezzi della pantomima e di un linguaggio ridotto a gorgheggi
e brontolii.
Il rito per liberare sé stessi culmina in un delicato valzer
danzato con estrema timidezza dai tre attori finché uno
dopo l'altro vengono cancellati dagli spari di una mitragliatrice
giunti dal buio della scena.
A questo finale, tanto assurdo, quanto armonioso (e che già
era stato salutato con un grandissimo applauso), Lebreton ha aggiunto
una coda, da considerarsi scherzosa e ironica oppure dotata di
significato ben più profondo. I tre personaggi si ritrovano
in un altro mondo, in cui regna il canto degli uccelli: la donna
è un grazioso angioletto bianco in tutù, uno dei
due uomini è un angelo nero della morte e l'altro un angelo-clown
in un abito in bianco e nero. Ballano insieme finché cadono
all'indietro, nel vuoto, mentre le loro anime si innalzano nel
volo sotto forma di tre colombe bianche uscite da una gabbietta.
Ma quella colomba è viva!, esclama stupita
una spettatrice, quando lo scrosciante applauso richiama più
volte gli attori sul palco. Colomba sulla mano dell'angelo, inclusa!.
VIENNA. AZ. Heinz Sichrovsky. 16.05.1980.
Da quando il Pupodrom non si chiama più Pupodrom
ma Serapionstheater, sul minuscolo palcoscenico al Wallensteinplatz
accadono i miracoli: gli spettacoli, un tempo quasi ignorati dal
pubblico, sono sempre esauriti, e da quattro mesi ormai. Da quando
il pubblico viennese ha scoperto questo nuovo polo di attrazione,
assale anche lo spettacolo del gruppo di teatro francese L'arbre,
attualmente in calendario. Giustamente. Perché lo spettacolo
politico-surrealista-poetico La cage (La gabbia) è un evento
da godersi ancora fino al 24 maggio.
Tre clown rispondono alle sparate di propaganda e a quelle di
alcune mitragliatrici giunte dal triste ambiente che li circonda,
e lo fanno con l'inebriante spirito utopico composto al contempo
da dolcezza e fiducia, musica e poesia. Sono le mitragliatrici
però a far più effetto, nonché le menzogne
della propaganda che risuonano a un volume molto più alto.
Dice così la storia narrata per lo più senza parole
e senza dialoghi.
Lebreton è riuscito a elaborare un linguaggio gestuale
straordinariamente semplice da quello originario dei clown e della
pantomima classica, avvicinandosi molto allo spirito surrealista.
I tre attori fanno fatica a rimanere seri di fronte alle assurdità
nella vita quotidiana della classe borghese. Si stupiscono e ridono
dell'insensatezza di alcuni di questi rituali o della crudeltà
persino disumana di alcune delle sue regole. Cercano di innalzare
a un livello tanto fiabesco quanto assurdo la dura realtà
che invece è tutta da combattere. Il fallimento loro è
anche il fallimento dei figli dei fiori e dei dolci cantautori
di protesta. E' il fallimento di tutta una resistenza degenerata.
VIENNA. DIE PRESSE. Klaus Khittl. 07.05.1980.
Un sorriso sdentato
Un viaggio nel fantastico. Rumori di locomotiva, vapore, buio.
All'uscita della galleria appare uno di quei bauli che ricordiamo
nei nostri solai e che invitano a camuffarsi. Ecco che ne escono
alcune persone addobbate con cappelli e cappotti, sui volti hanno
le maschere anti-gas. Sono come uomini in gabbia.
La Cage di Lebreton è per sei giorni al Serapionstheater:
è approdata a Vienna, infatti, la produzione teatrale che
ha debuttato con successo un anno fa a Parigi e che da allora
gira in tournée. Il Théâtre de l'arbre di
Lebreton e l'ex Pupodrom di Erwin Piplits si sono così
ulteriormente avvicinati per affinità elettive nell'utilizzo
di stili e mezzi espressivi. Entrambi fanno un teatro che è
situabile a metà tra la pantomima e la Modern Dance, che
non disdegna le tecniche della slap-stick comedy tipiche del cinema
muto, strizzando l'occhio a quel clown che ride e piange contemporaneamente.
La gabbia, che dà il titolo e il contenuto a questo spettacolo
per tre attori ideato da Lebreton, viene calata coerentemente
- e crudelmente - fin sopra le teste delle persone che sono in
scena. Il tema di Lebreton è la morte della fantasia e
della gioia di vivere, entrambe schiacciate sotto la pressione
e il peso di tutti quei divieti indetti dalla società gerarchica
e disciplinata. Assieme ai suoi attori, Teresa Borromeo, Steen
Haakon Hansen e Michael Zugowski, il regista ci offre parecchie
varianti virtuose e memorabili, facendoci volare - a volte svolazzare
- attraverso cieli e inferi individuando continuamente punti di
approdo e di grande intensità narrativa - emozionante,
comica, ironica e tragica.
Amore e morte, guerre e abbracci, cielo e inferno, tutto si intreccia,
si aggiunge l'un l'altro, si moltiplica, si triplica fino a farsi
logaritmo di una vera e propria formula complicata della vita.
In mezzo si riaccende sempre la gioia, tenace, fuori controllo,
divertente, scurrile, bellissima e giocosamente poetica. Certo,
ci sono anche alcuni simboli ultranoti, alcune immagini più
deboli, non tutto egualmente forte di impatto, ma quando il non
senso si trasforma in senso profondo (e viceversa)
lo si percepisce sempre in un modo differito. Dopo. Nel ricordare
l'esperienza vissuta: è un sorriso sdentato che troneggia
sull'intero spettacolo. Un viaggio appagante.
VIENNA. WOCHENPRESSE. M.S. 14.05.1980.
Il treno che corre nella nostra gabbia quotidiana si ferma
soltanto per un breve stop, quanto basta per una vita teatrale
racchiusa in una breve sequenza simbolica. Il lasso di tempo per
dimostrare come si cacciano le illusioni di fantasia e di libertà
e con quanta facilità l'essere umano è annientato
dalle e nelle lotte tra i potenti.
La nuova produzione, La Cage (La gabbia), dell'ormai ben tarato
gruppo francese Théâtre de l'arbre è il primo
spettacolo straniero invitato da Erwin Piplits nel suo
Serapionstheater al Wallensteinplatz. E non stupisce il fatto
di scoprire non pochi paralleli nel lavoro teatrale dell'uno e
dell'altro.
Yves Lebreton, direttore e regista del gruppo sperimentale parigino,
ha suggerito un tema molto complesso al suo terzetto di attori
e li fa improvvisare dentro una cornice scenica ispirata da solide
immagini surrealiste (René Magritte). Inseriti dentro un
sistema perennemente intrecciato tra movimenti, rumori, linguaggi
gestuali e sonori, nel corso della rappresentazione teatrale si
elaborano perennemente, con precisione e freschezza, i più
tragicomici contrasti tra realtà e desiderio: tra le costrizioni
della società e il desiderio di libertà.
VIENNA. KURIER. David Axmann. 07.05.1980.
Uno spettacolo da non perdere
Ragazzi, è soltanto nella giovane età che sappiamo
cosa vuol dire davvero la parola libertà! Destrezza, ordine
e leggi - ecco cosa ingabbia il nostro spirito.
Yves Lebreton è un uomo di teatro che ama la libertà
ed è per questo che nel suo Théâtre de l'arbre
a Parigi crea opere d'arte che ripresentano al pubblico gli antichi
principi dell'illuminismo. L'uomo per sua natura è un essere
libero e buono ma che ben presto deve diventare un cittadino diligente.
Il nostro servilismo terreno inizia laddove finisce l'infantile
irriverenza. Se non diventate come i bambini, dice Lebreton, non
entrate mai nel regno di Rousseau.
Lo spettacolo La Cage offre variazioni su questo tema profetico
elaborate con la pantomima e presentate dal gruppo in tournée
al Serapionstheater.
Uno spettacolo fanciullesco a suon di forti rumori e dolci melodie.
Tre viandanti internazionali escono da un baule fumante per entrare
nel tondo nero in cui è situato una gabbia per umani (rimane
soltanto da immaginare il cancello che disturberebbe la rappresentazione).
In questo carcere simbolico della nostra vita i tre attori creano
con grande spirito clownesco numerose situazioni esemplari rispetto
alla nostra triste esistenza da rinchiusi. Allons enfants
- al Serapionstheater!.
VIENNA. NEUE KRONEN ZEITUNG. Andreas
Weitzer. 08.05.1980.
La storia è molto semplice, è la storia della
vita delle persone e della morte della fantasia e della gioia
di vivere. Teresa Borromeo (Italia) è attrice con
Steen Haakon Hansen (Danimarca) e Michael Zugowski (Germania)
in La Cage, una produzione del Théâtre de l'arbre,
per la seconda volta a Vienna.
Ne La Cage non è importante la parola parlata in quanto
le voci degli attori hanno una funzione più acustica essendo
il suono uno dei veri protagonisti, espresso sia nel movimento
sia nel linguaggio del corpo. Due personcine si conoscono mentre
stendono la biancheria. Un contatto da buon vicinato e quando
questo contatto si fa troppo stretto, interviene la convenzione
e taglia il filo per stendere.
L'ordine sociale però ha ben altro da offrire: la sveglia,
il datore di lavoro, tendenze di moda sono soltanto alcune delle
sue sfumature portate in scena.
I due vicini a volte si mostrano scandalizzati per poi adeguarsi
blaterando del loro vivere in gabbia. Rimane pur sempre la speranza
di arrivare in cielo. Lì, un uccellino può ridere
tranquillamente e gioiosamente.
Tema e idea di base sono di Yves Lebreton, ma in scena si aggiungono
continuamente nuove gag da parte degli stessi attori. Fare teatro
per questo gruppo significa cogliere con l'emozione il vedibile
e l'udibile. Non vogliamo dire nulla. L'importante è
ciò che senti. O te lo devo dire?
Comprendere, ridendo, il sogno della vita.
ENSCHEDE. TUBANTIA. Art Linde. 12.10.1979
L'immaginazione al potere.
Con il Teatro dell'Albero di Yves Lebreton ci perviene qualche
vestigio del teatro archetipale: la volontà dell'individuo
di liberarsi attraverso la danza, la musica e le forme magiche,
delle oppressioni che la vita in comune c' impone.
Per qualche minuto l'immaginazione era al potere attraverso l'interpretazione
di un'attrice e dei due attori secondo una sceneggiatura all'origine
abbastanza breve di Yves Lebreton. Non ci sono parole che convengono
per esprimere ciò che questa compagnia arriva a comunicare
agli spettatori in una maniera quasi magica
In 'La Gabbia'
si distinguono diverse influenze. Quella del mimo, quella del
teatro dell'assurdo e quella della poesia.
Insieme, queste tre influenze si mescolano in una totalità
abbagliante, un'ode fantastica dedicata alla libertà dell'immaginazione.
Quelli che hanno assistito allo spettacolo del Teatro dell'Albero
ieri sera al Teatro Concordia se lo ricorderanno a lungo.
ENSCHEDE. TWENTSE COURANT. Chris Burgers. 12.10.1979.
La Gabbia: uno spettacolo ammirevole. Il teatro era gremito
e si poteva sentire volare una mosca. Tale era l'atmosfera durante
la rappresentazione del Teatro dell'Albero.
E' difficile descrivere cosa è successo sulla scena. In
gran parte l'azione è basata sull'espressione del corpo
alla quale si mescolano dei rumori, delle grida, un linguaggio
immaginario e alcuni frammenti d'idiomi articolati corrispondenti
alle nazionalità dei tre attori: italiano, danese e tedesco.
La rappresentazione 'La Gabbia' è simile a un sogno. E'
l'immaginario allo stato puro. Il pubblico è stato incantato.
MILANO. AVVENIRE. Domenico Rigotti. 17.03.1979.
Una 'Gabbia' tutta poesia: la creatività di Yves
Lebreton.
'La Gabbia' è l'ultimo spettacolo prodotto dal francese
'Théatre de l'Arbre', o meglio, creato dalla fantasia di
quello straordinario mimo e clown che è Yves Lebreton,
fondatore del gruppo. Artista sfuggente ad una precisa definizione
che, attraverso una originalissima sintassi surreale, riesce a
comporre dei veri poemi gestuali
'La Cage'. La Gabbia dunque.
Ma potrebbe anche essere un deserto. Un deserto beckettiano. Quella
sabbia mobile in cui affonda Winnie, o una 'terra desolata' nell'accezione
eliotiana
Un'azione mimata rigorosa e splendida, una serie
di sequenze raffinate e magiche alla ricerca dei segni innocenti
dell'infanzia
MILANO. LA REPUBBLICA. Ugo Volli. 17.03.1979.
Si ride ogni tanto, ma è un riso amaro che, che subito
ritorna in gola. Pur con tutte le sue clownerie sfrenate, 'La
Gabbia' di Yves Lebreton è uno spettacolo angoscioso e
sconsolato. Le immagini non compongono una storia, ma piuttosto
un paesaggio mentale, un caleidoscopio di sogno, con ritmi e logiche
oniriche. Quel che soprattutto si fa ammirare in questo spettacolo
sono certe immagini di fascino ambiguo e certi momenti di sospensione
figurativa.
MILANO. IL GIORNALE. Gi.Plac. 17.03.1979.
'Gabbia' surrealista e mito dell'infanzia.
Che cosa lega le precedenti esibizioni di mimo di Yves Lebreton
a questo impegnativo lavoro nel quale egli si trattiene di qua
del palcoscenico? Tutto e nulla nello stesso tempo. Vi ritroviamo
molti dei temi cari al mimo francese: mondo dell'infanzia come
simbolo di libertà intellettuale, la nostalgia verso un
utopico 'stato di natura', il disagio causato da una civiltà
che ci è sfuggita di mano schizzando in avanti
La
gabbia è contemporaneamente luogo di presa di coscienza,
anzi di speranza: e l'angelo - colomba che appare sul finale sembra
essere lì per testimoniarlo. Il nuovo volto di Lebreton,
lo troviamo, invece, in una riscoperta di quella che potremmo
chiamare, con molta approssimazione estetica surrealista.
BOLOGNA. IL RESTO DEL CARLINO. Sergio Colomba. 01.05.1979.
La Gabbia è un pezzo pregiato di teatro in cui la
comunicazione non verbale amplia gli spazi consueti che vanno
dal mimo puro al gioco di espressione corporea, per dilatarsi
in un potenziale di linguaggio e di espressività totalmente
nuovo. L'insieme dell'esecuzione (gioco corporeo, commento sonoro
all'azione, movimento delle luci, voci degli attori usate a livello
di puri fonemi) si trasmette con un effetto particolare di sintesi
suggestiva che si coglie soprattutto sensitivamente.Il risultato
è intenso.
ROMA. CORRIERE DELLA SERA. P.F. 04.07.1979.
Come il fumo con cui inizia lo spettacolo, la retorica esce
dal palcoscenico, invade la platea, prende alla gola gli spettatori.
ROMA .IL TEMPO. Giorgio Prosperi. 04.07.1979.
La Gabbia di Yves Lebreton è uno di quegli spettacoli
che mettono alla prova non la sensibilità e la prontezza
del pubblico ad affrontare il nuovo, ma la sua preparazione ad
accogliere una rappresentazione che non solo rifiuta la parola
e perciò tutto il suo aiuto intellettivo, ma addirittura
il mimo tradizionale come traduzione e sintesi di un concetto
in un'immagine. Questa lievissima materia è trattata con
gran delicatezza.
GENOVA. IL SECOLO XIX. M. Man. 20.12.1979.
Prolungati, calorosissimi applausi hanno accolto la rappresentazione
del complesso parigino. La Gabbia' è uno spettacolo mimico
di gradevolissima grazia, un disegno scenico di fantasiosa levità
e di saporita scrittura.
GENOVA. CORRIERE MERCANTILE. Dario G. Martini. 19.12.1979.
Tre attori di straordinaria bravura interpretano lo spettacolo:
l'italiana Teresa Borromeo, il tedesco Michael Zugowski e il danese
Haakon Hansen.
Fondendo insieme humour e malinconia, Borromeo, Haakon e Zugowski
riescono, a rendere teneramente tragi-comico il paradosso della
nostra alienazione e a colorarlo di poesia. Il pubblico ha gradito
molto lo spettacolo, acclamandolo alla fine con lunghe ovazioni.
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