TOLOSA.
LA DEPECHE DU MIDI. Yves Marc. 26.05.1970.
A differenza degli artifici di sovente utilizzati dai mimi
per rendere più figurativi i propri mezzi espressivi, Yves
Lebreton si serve poco delle mani e del suo viso. Come sfuggente
alla prigione dello spazio, del tempo e del suo proprio peso,
il suo corpo si lascia andare alle forze che lo animano. Dall'abbattimento
doloroso alla violenza esplosiva, i movimenti sembrano obbedire
agli impulsi di una vita interiore intensa le cui risorse psichiche
si tendono e si distendono ai ritmi dei muscoli. Abbiamo subito
l'indefinibile impressione di cogliere una verità originale
che un mondo di convenzioni e d'apparenza ci aveva fino ad allora
nascosto.
TOLOSA. LA DEPECHE DU MIDI. M. L. Roubaud.
28.04.1972.
Yves Lebreton: la necessità interiore.
Un dialogo con le forze oscure e addomesticate della materia,
un dialogo illimitato, di una bellezza nuova e imprevedibile che
fa crollare le frontiere del grande silenzio e nel corso del quale
Yves Lebreton raggiunge la perfezione. Tra l'accademismo rigido
e incipriato della pantomima da salotto e l'espressione sottile,
elaborata ed essenziale di Yves Lebreton, pittore e scultore della
propria opera, c'è la differenza radicale e assoluta che
separa il segno atemporale e probante della vita dalle sue rappresentazioni
di convenzione.
RENNES. OUEST-FRANCE. Jean-Yves Erhel.
12.02.1971.
Dei nuovi mezzi d'espressione stupefacenti.
Non possiamo fare a meno, vedendo evolvere Yves Lebreton, di pensare
a Ryszard Cieslak, questo prodigioso pilastro del Teatr Laboratorium
di Jerzy Grotowski
Stesso viso ermetico in Lebreton e Cieslak,
stesse palpebre socchiuse o, all'inverso, stessi occhi globulosi,
inquieti e vuoti. Il corpo si fa linguaggio, in uno come nell'altro,
e il minimo sussulto muscolare traduce l'inesprimibile. Yves Lebreton
dona una stupefacente dimostrazione dei nuovi mezzi espressivi
che si offrono all'attore
MONTPELLIER. MIDI LIBRE. Daniel Groussard.
28.02.1971.
Il corpo nudo si afferma sin dall'inizio come il cuore dello
spettacolo. Un corpo che impariamo stupiti ad ascoltare. I muscoli
sono al contempo delle tonalità o delle sfumature, il minimo
gesto spezzando un equilibrio o sviluppando un movimento, a scatti
o misurato, diviene parola. Il gesto non acquisisce un significato
preciso in un codice dato, ma al contrario, abolito ogni significato
convenzionale, l'attore può infine esprimere attraverso
il movimento, attraverso la curvatura o la distensione del suo
corpo uno stato mentale, un 'pensiero primario' che le parole
possono solo abbozzare. Il corpo ridiviene il centro dove tutto
prende vita e da dove tutto irradia, movimenti, oggetti che lo
prolungano, e voce che ritrova la propria sorgente fisiologica.
Yves lebreton non parla, non grida, ma il suo respiro è
già parola fisica, e udiamo la sua voce sensibilissima
ad estendersi sull'onda del corpo, non per articolare parole che
nessuno attende, ma perché il movimento chiama il suono.
Possiamo ammirare la straordinaria maestria fisica di cui da prova
Lebreton durante tutto lo spettacolo. Il suo corpo fa esattamente
ciò che egli gli domanda in flessibilità e disequilibrio.
Ma, non è vedere nel corpo che uno strumento. Il potere
evocativo che nasce da questa maestria è molto più
ammirevole.
GINEVRA. SCHWEIZER THEATER ZEITUNG. Jean-Jacques
Daetwyler. n°4, 1971.
L'universo magico.
Lebreton libera la sua arte da ogni illusione aneddotica: non
caricatura dei personaggi, dei mestieri, dei fatti di cronaca,
ma utilizza la sua sfolgorante tecnica a favore di una poesia
del movimento, una metafisica del gesto, ove la sorgente energetica
del pensiero si manifesta come immediata presenza. In questo senso
l'arte di Lebreton è incarnazione dello spirituale
La sua ricerca possiede qualcosa di appassionante, di fertile
e di autentico, tanto da ristabilire l'unità dell'individuo.
FIRENZE. LA NAZIONE. Paolo Emilio Poesio. 25.04.1971.
Stupendo spettacolo offerto da Yves Lebreton... Se il mimo
tradizionale è un silenzio materializzato, un segno vivo
nello spazio scenico, Lebreton si trasferisce nella filosofia
del gesto. Eleva alla più alta potenza la propria dimensione
materiale fino a condurre lo spettatore al di là di una
percezione visiva: ciò che egli esprime se smaterializza
fino a diventare una musica tacita. Praticamente senza ricorso
alcuno a suggestioni esteriori, Lebreton si cimenta, per esempio,
nei Quatro elementi: dapprima immobile come una statua, a poco
a poco tutti i suoi muscoli entrano in azione, recita, per così
dire, chiamando in causa in tutto se stesso, muscoli, nervi, epidermide,
fiato. Nel giro di pochi secondi è aereo come se fosse
librato al disopra delle tavole del palcoscenico o massiccio come
se dovesse sfondare una muraglia ostile. Basterebbe la straordinaria
interpretazione di Meditazione a suggerire il passaggio dalla
suggestione mistica alla lotta interiore dell'uomo. Perchè
Lebreton va diritto all'essenza delle cose, si rifiuta di accogliere
ciò che chiama aneddoto. Per far ciò, la sua concezione
del mimo annulla quelli che potrebbero essere i linguaggi cifrati
correnti, proietta in una vastità incalcolabile il corpo
come emanazione diretta del pensiero. Chi era in sala ha applaudito
come si applaude ciò che veramente appaga e nutre lo spirito.
LIVORNO. IL TELEGRAFO. 24.04.1971
Abbiamo visto .... il giovane mimo francese Yves Lebreton
e abbiamo provato l'emozione che pervade alla vista dei 'Prigioni'
di Michelangelo: lo stesso sforzo di liberarsi dalla materia,
la stessa capacità di far affiorare lo spirito ad ogni
poro della pelle... Lo spettacolo, applauditissimo dal numeroso
e scelto pubblico che affolava il teatro, è durato cinquanta
minuti si e no: ma si capiva che non poteva durare più
a lungo, tanta è stata l'energia e l'emozione che il mimo
parigino ha saputo trasmettere.
COPENHAGEN.POLITIKEN.Grethe Lise Holm.
11.12.1970.
E' affascinante vedere ogni muscolo del corpo tendersi per risvegliare
la nostra immaginazione, scoprire che il più piccolo movimento
può evocare la disperazione con una forza esplosiva tale
da dover di tanto in tanto chiudere gli occhi per evitare di provarla.
E' un tentativo alla volta bello e prodigo, testimonianza del
lavoro compiuto in un teatro laboratorio dove non si accetta che
il teatro d'oggigiorno divenga quello della parola a svantaggio
dell'espressione del corpo.
|