Yves Lebreton
Rassegna stampa

"Diritto di sguardo"

FIRENZE. LA NAZIONE. Paolo Lucchesini. 12.10.1991.
"Non dimenticheremo mai quell'angiolo candido ferito che apparve otto anni fa sulle tavole dell'Affratellamento. Quell'angiolo astratto, immenso, dolente, incapace di volare, uno sguardo vigile, gesti infinitesimali attenti al dolore era l'ancora giovane Yves Lebreton. Ci lasciò estasiati, incanti dal rigore e la tragica intensità di una concreta presenza glaciale: gocce di sangue scandivano tocchi silenziosi di un orologio invisibile, mortale. Spettacolo raffinato fino alla folia, fu apprezzato da pochi".

FIRENZE. LA NAZIONE. Paolo Lucchesini. 02.03.1983.
"In 'Diritto di sguardo' Lebreton introduce lo spettatore in un mondo onirico in cui gesti, azioni, suoni appaiono rarefatti, confusi nel continuo sciabordio della risaca. C'è il rischio di lasciarsi culare, abbandonarsi, perdersi, nel sogno, storditi dal frusciare del mare, e sobbalzare travolti da un suono violento o da un bagliore accecante... Il tutto in uno stile incomparabile, di diabolica perfezione".

FIRENZE. LA CITTA'. Francesco Tei. 02.03.1983.
In 'Droit de regard' non c'è più vicenda, non c'è nessun compiacimento scenico, non c'è neanche tecnica mimica. Anche il gesto è ricondotto a una sorta di zero assoluto, rarefatto fino all'inverosimile e raggelato come da un vento glaciale. La scena è sprofondata nel nulla di biancore assoluto...cosi come l'interprete affonda in uno spazio vuoto e senza tempo, tutto interiore, dominato da ritmi talmente lenti da avere il sapore dell'immutabile.
Questo non toglie, però, che lo spettacolo, sotto l'aspetto visuale, non abbia egualmente un carattere spietatamente netto e preciso, pur nella sua completa irrealtà. E' questo forse il collegamento più stretto con il 'surrealismo' che Lebreton intende far vivere in questo suo nuovo spettacolo. Il suo surrealismo è lontano da citazioni testuali che suonerebbero compiaciute o banali. E' piuttosto, un tentativo di recuperare lo stile, il modo di fare dell'arte proprio dei surrealisti nelle sue premesse profonde: l'irrazionale espresso in forma oggettiva, l'automatismo, l'assolutezza e la suprema verità del sogno. Cosi i simboli di Lebreton, netti e precisi eppure intraducibili, sono analoghi a quelli dei surrealisti, è sempre ostinatamente sfuggenti pur nella loro insistenza e luminosa chiarezza.
L'angelo maledetto e doloroso dalle ali nere, impersonato da Lebreton, agisce in un spazio ideale senza dimensioni, paragonabile alle distese senza fine di certi quadri di Dali e Tanguy. Il persistente rumore del mare ci da l'idea di un luogo quasi infinito, primigenio e originario.
Ma sarebbe impossibile raccontare il poco e il molto che avviene in scena, cosi come sarebbe assurdo tentare di 'spiegarlo' puntualmente. Resta communque un grande fascino visivo e figurativo, in momenti di preziosa contemplazione".

FIRENZE. LA REPUBBLICA. Ugo Volli . 10.03.1983
Mentre entriamo in sala ,avvolti da una luce azzurrina e da un rumore ritmico di risacca che durerà per tutto lo spettacolo, senza interruzioni,lui è già lì, in frac, seduto su una poltroncina bianca, la faccia truccata con profonde stempiature, rughe senili, sotto occhi rossastri da malato o da vampiro.
Quando si alzerà vedremo due ali nere grandi e inutili, spuntargli dietro le spalle.
Di lato alla poltroncina, un po' più arretrati, due piccoli tavoli, anch'essi coperti da un tessuto bianco che scende a terra fino a fare anche da suolo per quel metafisico paesaggio.
Fra questi tre mobili, con molta lentezza e tutta la gelida precisione della sua arte di mimo, si muove Yves Lebreton, ieratico, inespressivo, con straordinaria fluidità ed esattezza di movimento.
Quel diritto di guardare, 'Droit de regard' che fa da titolo allo spettacolo, non è suo, del cieco angelo caduto, ma nostro; ed è un voyeurismo amaro intorno alla futilità della condizione umana, al bisogno di morte che dà il solo senso della vita.
Di evidente ispirazione visiva surrealista, raffinato nelle immagini e dilatato nei tempi fino a sfidare la sopportazione del pubblico, 'Droit de regard' si regge tutto sul perfetto virtuosismo di Yves Lebreton, eccezionale artista del corpo. Spettacolo difficile, è pure uno di quelli che ti restano dentro e lavorano nel profondo.”

FIRENZE. L'UNITA'. Sara Mamone. 02. 03. 1983

All'improvviso, con ardimento temerario, Yves Lebreton rinuncia a tutto ciò che aveva costruito in questi anni, alla simpatia accumulata, al pubblico che ormai lo identificava con il personaggio e attendeva con curiosità nuove avventure; rinuncia al compagno e si presenta sulla scena solo, in lugubre attitudine, nero vestito, con grandi, immense ali sinistre.
Non un gesto, non un sorriso che possano cercare la comprensione e la complicità: la metamorfosi è sconcertante. Il mimo ha rinunciato a tutte le risorse del proprio corpo ben allenato, della propria fantasia comica e tragica allo stesso tempo e si è abbandonato al mondo del simbolo. Convinto che la ripetizione sia, anche nei casi più eccelsi, la morte dell'ingegno; convinto che la rinuncia a cambiare non sia altro che un pavido cedimento alle leggi del mercato, la degenerazione del proprio stile in maniera, Lebreton ha preferito a questo il rischio opposto: la trasformazione del proprio personaggio agli occhi del pubblico.
E ha offerto così un' opera surrealistica, un difficile esercizio al ralenti, una sorta di pittura in movimento, costruita sull'immagine: ha cercato di allargare al pubblico teatrale quel 'Diritto di sguardo' verso il mondo interiore. Ha cercato di dare anche al teatro - che di tutte le arti è la più realistica, la più legata alla fisicità dell'attore - l'astratta allusività delle forme simboliche.
La musica aggredisce e violenta lo spettatore durante i gesti più significativi; le luci raffinatissime circondano i soggetti, li inquadrano in una misteriosa allusività. Il mare, implacabile, accompagna il lento svolgersi del ritmo, la voce piangente di un neonato solleva risonanze ancestrali.
Alla fine, dopo che per l'ennesima volta ha puntato la pistola, l'inquietante personaggio notturno scompare, mentre dalla spalliera della sua poltroncina sgorga poco a poco il prevedibile scarlatto di un misterioso olocausto. Questo oscuro personaggio dovrebbe aiutare lo spettatore a entrare nei meandri di sé stesso e oltre sé stesso.

FIRENZE. LA CITTA'.Francesco Tei. 27. 02.1983
Debutta domani all'Affratellamento, nel quadro della stagione del Teatro Regionale Toscano, 'Droit de regard' ( Diritto di sguardo), il nuovo spettacolo del mimo francese. Yves Lebreton, trasferitosi da tempo nel nostro paese. I suoi precedenti lavori, come Boh! e Eh! , in cui Lebreton aveva portato in scena il personaggio di Monsieur Ballon (sempre accompagnato dal fedele cagnolino Bof) hanno rivelato in lui uno fra i maggiori rappresentanti della nuova arte mimica.
Raggiungiamo Lebreton nella sala deserta dell'Affratellamento, all'antivigilia del debutto.
-Perché ha scelto per questo spettacolo il titolo 'Diritto di sguardo'? Che cosa significa?
“In questo lavoro ha grandissima importanza la visualità: si tratta infatti, di una sorta di
'pittura in movimento' costruita sull'immagine. Per questo il 'guardare' è così importante”.
-Quali sono le caratteristiche dello spettacolo?
“'Droit de regard' è completamente diverso dai miei ultimi spettacoli.
Non c'è spazio per la comicità: è un lavoro tragico, dove ho cercato anche di riportare in vita l'estetica surrealista.
Si tratta di un tipo di teatro simile a quello che facevo all'inizio della mia carriera a Parigi, nel '69-'70, lavorando sul mimo astratto. 'Droit de regard' è privo di richiami alla quotidianità”.
-Perché questo suo cambiamento?
“Per un artista è importante sviluppare interamente la propria sensibilità, sperimentare tutte le atmosfere espressive.
Spesso la pressione economica tenta di indurlo a ripetersi, a riproporre sempre uno stesso stile per 'assecondare' il pubblico.
Così si corre il rischio di far degenerare il proprio stile in una maniera: come è accaduto-per esempio- a Marcel Marceau.
La ricerca si interrompe, non è più autentica. L'artista si commercializza, vende la propria maniera”.
-Non ha paura che il pubblico possa non seguirla sulla nuova strada?
“La forza più importante di un artista sta nella sua creatività. Non importa se le sue opere sono molto diverse l'una dall'altra.
Se l'artista rimane fedele a questa creatività il pubblico gli darà ragione”.
-Torniamo a 'Droit de regard'. In che senso si tratta di un'opera surrealista?Ci sono richiami al surrealismo 'storico'?
“Certo ci sono stretti collegamenti con il mondo espressivo di Ernst, Dalì, Tanguy, Magritte. Non ci sono richiami diretti, ma le opere di questi autori fanno parte del mio bagaglio, sono dentro di me. Prima che mimo, sono stato pittore: la pittura, l'immagine, rimangono un elemento importante del mio teatro. Inoltre io mi sento da sempre legato alla strada del surrealismo”.
-In che modo?
“L'importanza del surrealismo sta nell'aver rivelato l'ambiguità fra visibile e invisibile. La realtà si apre, improvvisamente, su un mondo interiore in cui ciascun elemento della quotidianità trova un suo nuovo significato. Il teatro propone una figurazione realistica, che ha senso solo però se riesce a farci intuire l'invisibile attraverso il simbolo, forza universale di ogni arte. L'arte è una finestra della realtà su un altro mondo. Questo è il 'diritto di sguardo', la possibilità di affacciarsi su una realtà invisibile”.
-Eppure il teatro è forse l'arte più concreta e realistica, legata com'è alla presenza fisica dell'attore…
“E' vero. Per il teatro è più difficile diventare 'astratto'.
Ma anch'esso dev'essere una “finestra” aperta sull'invisibile, e non uno specchio del quotidiano.Non è interessante rivedere ciò che abbiamo sempre intorno”.
-Il suo cane Bof non sarà presente in 'Droit de regard'.E' la fine della sua carriera artistica?
“No, ho in mente nuovi spettacoli in cui potrà tornare in scena. La comicità tornerà nel mio teatro, quando riuscirò a raggiungere il mio obbiettivo: la sintesi fra tragico e comico. Anche nei precedenti spettacoli la mia comicità, del resto, diventava tragedia e simbolica”.
-Il suo spettacolo si fermerà a Firenze?
“Si, perché è molto complesso sul piano tecnico. Ci sono ben 80 effetti di luce. Sono un artigiano del teatro:le mie tasche non mi permettono - per ora - tournées costose”.