Yves Lebreton
Rassegna stampa

"Dialogo"

LE HAVRE. PARIS NORMANDIE. Florence Vercier. 14.11.1971.
“Buio in sala, alone di luce sul mimo, silenzio assoluto, ascetismo nei temi rappresentati, c'è in sala un'incantata qualità d'attenzione. Si potrebbero vedere nei giochi muscolari sapientemente decomposti e ricomposti a volontà da Lebreton soltanto sfoggio, esibizione di una maestria che possiede alla perfezione. Ma il corpo così magnificato significa nello stesso tempo maestria dello spirito, e la bellezza dell'espressione muscolare ridante senso e vita ad ogni fibra, testimonia nella sua purezza di un culto non solo plastico, ma di una comunione tra corpo e spirito, di una riconsiderazione del corpo promosso a una dignità superiore. I più belli sono questi 'Dialoghi' eseguiti con lance di legno, ampi tratti di luce che vibrano, che volteggiano, che scolpiscono lo spazio. Notevole era il dialogo quasi immobile, dove due lance evocavano per i loro ampi movimenti, o i loro battiti serrati, qualche musica silenziosa”.

TOLOSA. LA DÉPÉCHE DU MIDI. M. L. Roubaud. 28.04.1972.
Yves Lebreton: la necessità interiore. Un dialogo con le forze oscure e addomesticate della materia, un dialogo illimitato, di una bellezza nuova e imprevedibile che fa crollare le frontiere del grande silenzio e nel corso del quale Yves Lebreton raggiunge la perfezione. Tra l'accademismo rigido e incipriato della pantomima da salotto e l'espressione sottile, elaborata ed essenziale di Yves Lebreton, pittore e scultore della propria opera, c'è la differenza radicale e assoluta che separa il segno atemporale e probante della vita dalle sue rappresentazioni di convenzione”.

TOLOSA.LA CROIX DU MIDI. Claude de Breuilh. 07.05.1972.
“Il corpo di Yves Lebreton è come un'orchestra, di cui egli modifica le strutture, decompone gli elementi, oppone o sposa gli slanci, mette in risalto tal gesto, tale attitudine, tale sviluppo. Questa musica plastica, che percepiamo concepita e governata dall'interno, finisce per creare una sorta di fascinazione. Solo il corpo è potentemente presente con i suoi impulsi spontanei e le loro proiezioni che fanno di lui un nucleo ritmico radioso, propulsante le proprie energie ben al di là della realtà effettiva dei movimenti…Nelle sequenze presentate da Yves Lebreton, una costante scaturisce, appartenente molto più al mondo del fantastico che alla semplice umanità: quella dell'uomo in lotta per estrarsi alla terra, sofferente, poi abbattuto da potenze dominatrici o imprigionato nella corazza cieca della materialità. E se lo stupore giunge da queste evoluzioni, non è unicamente visuale; esso proviene essenzialmente dalla percezione interiore. Il gesto, per noi, diviene pensiero, filosofia più che aneddoto. Con Yves Lebreton, il corpo umano diviene un'entità dotata, diremmo, di una vita propria, indipendente dalla vita fisiologica: i muscoli, le membra, la testa sembrano detentori di una vitalità parallela la cui indipendenza è sorprendente…il mimo dona un'impressione di naturalezza nella sua espressione, di generosa spontaneità quasi d'improvvisazione, mentre tutto ciò è stato rigorosamente studiato e messo a punto.
Eppure è di un'inalterata naturalezza. E lo percepiamo, nei minimi dettagli, nelle minime sfumature di questi discorsi gestuali trascesi.
Mimo astratto? Se vogliamo. E nonostante ciò, come parla alla sensibilità, all'emotività; come ci penetra con vigore e acutezza, sino a sconvolgerci. Yves Lebreton, rifiutando le parole e le loro immagini, ha scoperto un alfabeto di luce, alfabeto carnale che tramuta le sue lettere in valori affettivi che ci toccano attraverso le loro indicibili e sovraumane estensioni”.

NEUCHÄTEL. FAN-EXPRESS. C. G. 02.06.1972.
“Con Yves Lebreton, l'arte del mimo ha cessato di assomigliare a un gioco d' indovinelli…
Lebreton non sa cosa farsene dell'aneddoto, s'immerge al cuore stesso delle risorse umane…Il suo corpo sa sviluppare in potenzialità e in raffinatezza tutte le sfumature del movimento…Yves Lebreton si definisce lui stesso: mimo astratto. Se essere astratto è proibirsi ogni figurazione romanzesca o pittoresca, allora il tema astratto è qui giustificato. Ma non bisogna vederci ermetismo o gratuità: l'espressione di Yves Lebreton è perfettamente chiara, precisa, e di un rigore che esclude ogni casualità o approssimazione. Confrontandosi con le forze più profonde che animano la vita dell'uomo, trascina lo spettatore in un mondo inconsueto, estraneo alla nostra mente abituata alla facile assimilazione delle superficialità umane, in un universo dove brillano la gioia totale, l'impotenza senza rimedio, la forza invincibile, la bellezza pura. Questo universo lo proietta attorno a sé, ne evoca i flussi e dopo averlo creato, ne diviene la vittima: un solo bastone lo spinge a combattere, due lo trascinano verso il gioco, alla sconfitta e alla gioia della vittoria, un fascio nei meandri della bellezza. Yves Lebreton non si permette alcuna facilità accattivante: se il suo spettacolo raggiunge spesso una bellezza plastica sfolgorante, non è frutto di una ricerca volta a mettere in luce l'estetica ma piuttosto che a un certo livello di purezza e di esigenza, il gesto e l'atteggiamento non possono più sfuggire alla bellezza. Formatosi alla scuola tradizionale, Yves Lebreton ne ha conservato le tradizioni di rigore, ma ha saputo attingere ad altre fonti uno stile molto personale che comporta possibilità di esplorazione e di sviluppo immense, e che può parlare direttamente al cuore di ogni uomo poiché tocca all''essenziale”.

BERNE. BERNER TAGBLAT. 05.06.1972.
“Dopo il suo corso di pantomima moderna al Tanzstudio “Alain Bernard”, il direttore del Theater-Laboratorium interscandinavo delle arti teatrali in Danimarca, Yves Lebreton, ha dato prova del suo sapere a un pubblico molto più ampio offrendo uno sguardo interessante sulla sua nuovissima interpretazione dell'arte della pantomima.
Uscito dalla masterclass di Etienne Décroux, Lebreton ormai non è più comparabile alla pantomima classica. Infatti, lui stesso la definisce pantomima “astratta”. Lui non “racconta” piccole storie e tanto meno esprime emozioni umoristiche o tragiche nei suoi spettacoli: Lebreton porta in scena archetipi di comportamenti psico-corporei totalmente astratti in una straordinaria serie di sequenze create sì con la pantomima ma che sembrano profondamente segnate da una lotta tra materia e spirito. L'artista ha elaborato una vera e propria filosofia da questo suo lavoro corporeo mettendo in relazione la discrepanza tra il corpo fisico-reale e il pensiero astratto. Egli collega gli aspetti animali, vegetali e minerali presenti in ognuno di noi e anche attorno ai corpi umani - in breve: gli aspetti materiali - con una forte dominazione mentale del corpo e con l'aiuto della razionalità e della perfezione tecnica mira a scoprire le energie basilari presenti nell'uomo. Alla fine dello spettacolo egli spiega la sua tecnica con tanto di esempi delle tre dimensioni nello spazio, e sfugge così al pericolo di apparire troppo orientato verso una reazione analitica da parte dello spettatore, benché nel caso di certe scene sarebbe stato bello rivederle alla luce del pensiero dell'artista.
Yves Lebreton tocca un territorio completamente nuovo col suo lavoro ed è impossibile comprenderne le dimensioni nelle due ore di spettacolo. Gli spettatori presenti erano visibilmente impressionati e hanno premiato l'artista con un meritato grande applauso”.

BERNE. DER BUND. 05.06.1972.
“Oltre lo spirito
Un nuovo stile, molto pregnante, della pantomima è stato dimostrato dall'artista Lebreton e successivamente spiegato dal docente Lebreton: egli ha così aggiunto alla visione estetica la lezione analitica. Lo spettacolo ha offerto una quintessenza dell'espressione del corpo umano. Se all'inizio si è aiutato con alcune musiche di Bach, dopo un po' l'artista ha fatto a meno di qualsivoglia aiuto esterno (tranne qualche bastone): era unicamente il suo corpo nudo a mimare su un palcoscenico altrettanto nudo diverse situazioni di vita senza tuttavia narrare una storia precisa. Il risultato è stato un gioco delle forze mitologiche, un miscuglio tra stimoli di energia animale e vegetale trasformati in pura astrazione grazie a una costruzione di ordine matematico, oltre ogni aspetto spirituale. D'altronde, l'artista lo aveva sottolineato velandosi nella prima azione la testa e, successivamente, evitando la benché minima espressione sul volto, mentre erano i suoi occhi il vero strumento del movimento, a pari merito del collo, delle spalle, del bacino e delle gambe.
Yves Lebreton vuole raggiungere la massima chiarezza sul piano dell'espressione corporea e dello spirito, immergendosi grazie a un esercizio continuo nelle profondità delle dimensioni animali, vegetali e minerali presenti in ogni essere umano, per riuscire a coordinarle e portarle a un naturale equilibrio. Lottando con la paura dell'essere, egli fa resuscitare energie inesauribili dalla terra: agendo il piede come se fosse una radice profonda, le fa risalire lungo il corpo per poi proiettarle dinamicamente nello spazio. Questo procedimento deve essere guidato dal cervello, perché solo in questo modo si può evitare il caos e creare un equilibrio tra corpo e universo.
La tecnica del mimo distingue tra contrasto e affermazione, e l'artista l'ha dimostrato con movimenti segmentati, in cui era possibile riconoscere entrambe le direzioni, di fatto opposte. In modo altrettanto credibile egli ha poi riassunto in poche parole lo sviluppo della coscienza e dell'evoluzione come un processo creativo che inserisce l'essere umano dentro la natura. Basta una grande determinazione di se stessi per essere in grado di riconquistare le energie originarie credute perdute. Ciò che appare strano e complicato se udito dalle sue parole, è poi convincentemente semplice nelle azioni non verbali viste sul palco”.

BASEL. BASLER NACHRICHREN. 20.05.1972.
“Musica del corpo
L'uomo - vestito unicamente con un perizoma - lavora sodo, ha le perle di sudore sulla pelle e a volte ansima. Contorce il suo corpo, si inoltra nello spazio, quattro passi avanti, quattro passi indietro, su e giù, per poi cadere a terra e rialzarsi lentamente. A volte si aiuta con due bastoni e conduce un duello con un altro immaginario ai sensi delle arti marziali giapponesi. Poi rimane di nuovo fermo sul posto, piega il proprio corpo facendolo ondulare e compiendo gesti particolari con braccia e gambe. Con un telo in testa interpreta con movimenti danzati un brano di musica classica, non privo di grande carica sentimentale.
Dopo otto numeri rappresentati, Lebreton compare vestito con un pantalone nero da jogging e inizia una piccola conferenza. Sarebbe folle, dice, pensare che l'uomo è fatto di sola energia intellettuale, possedendo lui egualmente un'energia animale, vegetale e minerale. Oggi sarebbe importante riscoprire l'integrità negli esseri umani ed è a questo scopo che serve quel genere di allenamento che poco prima aveva portato in scena. Questo comprende il corpo intero nella sua dimensione tridimensionale: dalla testa al petto, passando per il collo, arrivando alle anche, al bacino, alle gambe e alle braccia. Lebreton ci mostra ogni gesto e ogni azione.
Vanno attivate tutte le energie dormienti nel corpo umano per aiutare loro ad esprimersi nel movimento dinamico, è questo il senso, lo scopo e l'intenzione di questo studio del linguaggio corporeo. Lebreton è un uomo serioso che sa mettere in scena gesti e azioni e che al contempo sa spiegare questi stessi gesti e queste stesse azioni”.

FRIBURGO. LA LIBERTÉ. Frédéric Wandelère. 06.06.1972.
“il lavoro di Yves Lebreton si fonda su una maestria assoluta dalla tecnica gestuale… Segni liberati dal corpo sino al ritmo puro della loro concatenazione ci riportano una bellezza intensa viva, fluttuante. Il miglior spettacolo dell'anno!”

FRIBURGO. FREIBURG NACHRICHTEN. 02.03.1971.
“Una musica del corpo
Mercoledì sera, al Theater am Stalden, un numeroso pubblico ha avuto l'opportunità di conoscere il mimo francese Yves Lebreton. Questo artista pratica un'arte della pantomima che non ha niente a che vedere con quello che normalmente si intende per essa: i suoi spettacoli infatti si riassumono nel concetto di “mime astrait”.
Se questo articolo appare sotto il titolo di “musica del corpo” - che potrebbe anche suonare un po' scioccante - è dovuto soltanto al fatto che nel caso di Lebreton il movimento ha davvero una funzione simile a quella del suono nella musica. Ogni movimento ha già di per sé un suo senso preciso per assumere poi, in relazione agli altri movimenti, un altro significato, ancor più preciso. Quando Lebreton mima i quattro elementi non lo fa in modo narrativo o letterario o aneddotico, anzi, egli pone il suo corpo in relazione a essi. Non ci sono riferimenti intellettuali, lo spettatore non è di fronte ad un mero interprete che mima il fuoco, l'acqua, la terra e l'aria affinché egli si dimentichi dell'attore per vedere unicamente il relativo elemento, ma ogni volta si tratta di una sorta di meditazione sul tema, una meditazione corporea.
E Lebreton va ancora oltre, egli mima la meditazione e, di nuovo, non si tratta di una rappresentazione della meditazione non entrando lui nel ruolo di chi medita ma è il suo linguaggio del corpo a farsi meditazione, invece di recitare psalmi o di sprofondare in un ipotetico altrove: qui siamo testimoni di una meditazione sul movimento.
In due numeri, Angoisse (“angoscia”) e Dialogue II, la sua arte si fa ancor più precisa. Soprattutto nell'ultimo brano dello spettacolo si mette in scena un aspetto interessante: Lebreton arriva sul palco con dei bastoni in mano, egli non li manipola, anzi, prova a usarli come prolungamenti del proprio corpo. Il bastone diventa un momento di dialogo del corpo che viene integrato nei movimenti eseguiti, senza perdere però il suo significato di base: essere soltanto un bastone.
Nella seconda parte della serata, Yves Lebreton ha spiegato con cura la sua tecnica che sulla base di principi molto semplici diventa una forma di espressione incredibilmente complessa e dalle mille sfaccettature. Inoltre ha risposto con grande gentilezza alle domande rivoltegli dal pubblico. Il punto interessante era l'affermazione del fatto che tutto nasce dall'improvvisazione. Alcuni movimenti fanno da assi portanti ed è attorno a esse che poi si costruisce l'intero spettacolo. In questo senso è altrettanto interessante notare che negli ultimi tempi si sono sviluppate tendenze analoghe nella musica contemporanea. Le azioni di Lebreton hanno un impatto particolare sul pubblico, da attribuirsi sicuramente al fatto che siamo di fronte ad una forma di espressione completamente nuova, dalle molteplici modalità d'interpretazione. Al contempo si rinuncia a un qualsivoglia punto di riferimento preciso, richiedendo così una forte partecipazione interiore da parte dello spettatore. Grazie alle spiegazioni di Lebreton alla fine, il pubblico ha conosciuto qualcosa di nuovo, di “puro”, che è insito nella parsimonia dei mezzi e nella rinuncia a un riferimento esplicito alla realtà, un dato che oggi come oggi è segno di arricchimento culturale incontrando sempre più movimenti artistici creati con la massima significazione univoca”.

GINEVRA. LE JOURNAL DE GENÉVE. I. M. 09.10.1972.
“Lo spettacolo di Yves Lebreton, intitolato 'Dialogo', non ha mancato di sconcertare numerosi spettatori. E' che la concezione di mimo di Lebreton si distanzia totalmente dall'idea che d'abitudine ci si è fatta, fondata sull'osservazione di una realtà che si tratta di riprodurre. Ora, nello spettacolo di Lebreton, nessun aneddoto, nessuna rappresentazione di personaggi; si tratta di un'arte denudata all'estremo, astratta potremmo dire, senza riferimento alcuno al quotidiano. E' qui il corpo che si esprime, come animato dall'interno. La bellezza delle immagini plastiche che si succedono é talvolta sottolineata dagli oggetti - pertica, bastone, sottili bacchette - che hanno la funzione di 'dialogare con il corpo. Arte difficile ed esigente quella di Lebreton, ma perfettamente padroneggiata”.

LOSANNA. LA TRIBUNE DE LAUSANNE. Daniel Jeannet. 09.10.1972.

“Lebreton, l'alchimista.
Assistiamo a un dialogo denso e intenso dell'anima con il corpo. Non c'è più una storia da comprendere. I gesti, gli spostamenti nello spazio e le contrazioni muscolari, spesso punteggiati dai gemiti dello sforzo, non esprimono niente altro che la commovente lotta intrapresa per braccare le forze psichiche e farle affluire alla superficie dell'involucro carnale. Lebreton si oppone all'estetismo e pochi esempi illustrano altrettanto bene quanto lui, la famosa citazione di Artaud : 'La cosa veramente diabolica e autenticamente maledetta della nostra epoca, è l'attardarsi sulle forme artistiche, invece di sentirsi come condannati al rogo che facciano segni attraverso le fiamme'.
Con Lebreton, l'arte del mimo, come quella dell'alchimista, diviene allora atto di possessione, tentativo per spiritualizzare la materia, per operare la fusione del corpo e dello spirito…Con Lebreton, l'arte del mimo si riallaccia alla funzione primaria e sacra del teatro: l'incantesimo. Va detto, in fine, della straordinaria bellezza di questo spettacolo. E' della scultura in movimento, sulla quale gioca la luce, talvolta netta, talvolta in chiaroscuro, stagliando le ombre e facendo risaltare il minimo muscolo, come nelle tele di Caravaggio. Da mozzarvi il fiato”.

AARHUS. AARHUS STIFSTIDENDE. Jorn Rossing Jensen. 13.09.1972.
“Non si tratta di un dialogo con gli spettatori, ma di quello che si crea tra l'energia psichica dell'attore e il suo corpo, tra lo stato interiore e la sua espressione fisica. Yves Lebreton è scultore del proprio corpo. Nella sua dimostrazione da prova di un controllo corporeo che tocca l'estrema sensibilità dei vostri nervi. Un' espressione fisica perfetta”.

GOTEBORG. KVALLSTIDNINGEN. Sune Ornberg. 03.02.1972.

“Il fascino che emana da questo spettacolo è quello che emana sempre da una maestria perfetta”.

GOTEBORG. GOTEBORG HANDELS. Sverker Andrèason. 03.02.1972.

“Vediamo lavorare ogni muscolo. Ogni respiro diviene sensibile. Il più piccolo movimento del corpo può essere carico di una forza esplosiva. In un silenzio assoluto, vi è una musica corporea, un'arte che è al contempo austera, chiusa sui propri mezzi espressivi, e aperta a tutto ciò che desidera penetrarla ”.

ÖSTERSUNDS. ÖSTERSUNDS POSTEN. 11.12.1972.
“E' affascinante vedere Yves Lebreton in azione; seguire i suoi movimenti e percepirli altrettanto bene fisicamente che emotivamente. Lo spettatore è inviato ad interpretare a suo modo il linguaggio fisico creato dall'attore. In un silenzio denso, la pienezza espressiva del corpo afferra lo spettatore in una maniera potentemente drammatica”.

TAMPERE. AAMHULEHTI. Ansa Hartelin. 24.03.1972.

“Questo spettacolo non ha nulla di estetico, tutto è terribilmente puro e trova la sua forza e la sua potenza in questa purezza. Il baro non è più possibile, tutto è svelato…”.